di Tullia Fabiani
A Gaza bombe al fosforo, migliaia di morti civili, la diplomazia in fermento per arrestare una strage: una storia, annosa, tragica, da raccontare. Ancora una volta. La stampa internazionale si mobilita, per quanto costretta a stare a guardare "da lontano", a distanza di sicurezza per i reporter, ma soprattutto per chi fa la guerra.
Dall'Italia partono gli inviati, quelli titolati a raccontare la guerra, quelli avvezzi a lavorare in situazioni estreme, disagi 'al fronte', in trincea. Quelli che conservano una certa 'epica del mestiere'. E fanno sognare ancora gli aspiranti e i novelli giornalisti, giustamente innamorati della professione, e del metodo: vado, vedo, racconto. Ad ogni costo, si direbbe.
Ma fino a un certo punto. E il punto ce lo indica un lettore, che per lavoro riceve telefonate e prenota alberghi. La definisce «una posizione privilegiata di operatore di un call center» e ha la ventura di ascoltare tante voci; tra cui quella di una nota giornalista di un noto settimanale italiano. «Una voce del giornalismo patrio, che recandosi in quel di Gerusalemme - racconta il lettore - come corrispondente di guerra si fa prenotare l'hotel, un fantastico 5 stelle nella città santa».
Fin qui poco da stupire. Ma a un certo punto il lettore/operatore riceve una richiesta specifica, imprescindibile: «Che nella suite ci fosse la jacuzzi, senza jacuzzi nemmeno a parlarne, la giornalista non si scomoda». Condizione sine qua non per la prenotazione. E a quel punto a lui, come operatore, non resta che esaudire il desiderio, alla faccia di ogni 'epica' scomoda. Ma come lettore commenta ironico: «Visto che l'etica non trova adepti da queste parti, tanto vale assicurarsi la quiete jacuzziana dopo l'eventuale tempesta». E dalla suite di Gerusalemme è tutto.
12 gennaio 2009